Sport

Pillole di Amarcord #8: 2246 motivi per non mollare…e almeno il doppio per riprovarci!

In un periodo di isolamento ed emergenza, le pagine di un libro possono darci conforto. Ancora di più se raccontano la nostra storia cestistica e ci permettono di rievocare, insieme a loro, i momenti salienti della storia recente della JuveCaserta. Lo facciamo con alcuni estratti di ‘A 40 minuti dal paradiso’, il libro scritto nel 2010 da Sante Roperto e Camillo Anzoini.

La ferita di Pavia è rimasta aperta per lungo tempo, quella di un’ultima giornata che aveva offuscato i sogni di gloria di una JuveCaserta in testa alla classifica, spesso da sola, per trenta giornate e superata solo per quoziente canestri. Anche il successivo play off, con l’eliminazione al primo turno per mano della Fileni Jesi, non aggiungeva nulla alla beffa di un campionato che meritava altro epilogo. Sull’onda di quella delusione la società ripartì di slancio: in estate il patron Caputo azzerò tutte le cariche societarie, la MI Medical lasciò la proprietà bianconera che, dopo diversi anni, perse di un sol colpo la passione di Andrea e Fulvio Giannini e quella di Rosario Miniero, per anni anima dello spogliatoio e del club. Caputo decise così di rilanciare, rafforzando la compagine societaria con il maggiore coinvolgimento di alcuni soci, tra cui Francesco Landolfi e Gianluigi Traettino, e affidando la gestione amministrativa e tecnica a Pier Francesco Betti. Quest’ultimo giemme considerato un ‘enfant prodige’ tra i dirigenti della palla a spicchi italiana, in passato visto operare a Reggio Calabria, Teramo e Napoli. In realtà gli errori commessi nella gestione del roster e nell’organizzazione della società vennero a galla con diversi mesi di ritardo, tanto da costringere lo stesso Caputo, che gli aveva sottoscritto un contratto triennale, a licenziarlo meno di un anno e mezzo più tardi, tuonando in una conferenza stampa di fine anno che “le casse societarie erano andate incontro ad un bagno di sangue senza precedenti”. Nell’estate del 2007, intanto, si era impostata la campagna abbonamenti proprio ricordando l’ultima gara della precedente regular season e lo sconfinato entusiasmo dei 2.246 casertani che raggiunsero Pavia. “2.246 motivi per non mollare e almeno il doppio per riprovarci” recitava lo slogan della campagna pubblicitaria e manifesti affissi in città, con tanto di foto di Andrea Ghiacci, uomo simbolo della rifondazione (stava recuperando dalla rottura del crociato a febbraio), l’unico con Labella a essere confermato. Al quarto anno di Legadue era finita l’era del duo Guastaferro-Marcelletti, e il rinnovamento portava il nome di Andrea Trinchieri (il vice era Max Oldoini). Nessuna scommessa, un budget sontuoso e una formazione rinnovata per otto decimi: diventava perciò superfluo riconoscere in Randy Childress la leadership di un gruppo che contava sull’esperienza del 35enne Frosini, dell’ex Napoli Larranaga e dell’ex Jesi Tutt. Il roster fu poi completato dall’ex Aris Salonicco Arthur Johnson, il volto meno noto ma sul quale il giemme Betti volle scommettere, e quindi da Ivan Gatto, uno dei migliori italiani dell’ultima Legadue, ironia della sorte da quel momento in poi impegnato a restituire a Caserta quella serie A che le aveva tolto pochi mesi prima nelle fila di Pavia. Tutto era nelle mani ovviamente di Childress, condottiero del miracolo Montegranaro e tornato in quella estate per l’ennesima volta in Campania, dopo gli anni di Napoli e Scafati. Play dalla sagacia tattica e dalla classe infinita, eccezionale professionista che vedevo allenarsi con la costanza e la perseveranza di pochi altri atleti. La stagione della promozione aveva ora i suoi nuovi protagonisti.

Condividi!