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Il basket regionale pronto alla ripartenza tra selezioni cestistiche “darwiniane” e mancanza di protocolli

Ci perdonerete il silenzio di questi mesi, ma la situazione pandemica in Italia ci ha impedito – ahinoi! – di parlare, nella trasmissione “Cestisticamente Parlando” sulle frequenze di Radio PRIMARETE, delle vicende del basket casertano che, con la dipartita dello Sporting Club JuveCaserta dalla Serie A2, brulica solo nelle cosiddette “minors”, i campionati regionali che ogni anno muovono centinaia di appassionati nei piccoli e grandi comuni della provincia di Terra di Lavoro.

E quest’anno eravamo pronti a raccontarvi le vicende di ben 11 formazioni, e più precisamente:

– Pallacanestro San Michele Maddaloni in Serie C Gold;
– JuveCaserta Accademy, Virtus 04 Curti, Centro Basket Mondragone e Polisportiva Basket Parete in Serie C Silver;
– Basket Succivo, Step Back Caiazzo, Basket Casapulla, Basket Koinè, Ensi Basket Caserta e Casal di Principe Basket Club in Serie D,

mentre purtroppo mancano formazioni casertane nel basket femminile a livello regionale, dopo le rinunce delle Pantere JuveCaserta Accademy e del Family Basket Maddaloni rispettivamente ai campionati di Serie B e Serie C Femminile a causa della pandemia da COVID-19.

Nel nostro contributo odierno, tuttavia, vogliamo far luce su una questione emersa in questi ultimi giorni ed in evoluzione nelle ultimissime ore.

Alla luce della imminente scadenza al prossimo 15 Gennaio del DPCM 3 Dicembre 2020 ed in vista di un nuovo provvedimento legislativo, la FIP ha inviato al CONI una richiesta di integrazione dell’elenco dei campionati considerati “di preminente interesse nazionale” che il Comitato presieduto da Giovanni Malagò ha prontamente accolto aggiornando il proprio elenco sul suo sito ufficiale. Con questo provvedimento, ora sono riconosciuti come tali anche i campionati di Serie C Gold, Serie C Silver, Serie B Femminile e tutti i campionati giovanili che prevedono una fase nazionale (ovvero quelli di Eccellenza ed Elite sia maschili che femminili).

Tale decisione, nonostante ci possa far senz’altro piacere – anche per il solo motivo che torneremmo on air -, ci sembra tardiva ed incomprensibile per più motivi che ora elencheremo e giustificheremo:

1) Concetto di “campionato di preminente interesse nazionale”.  Questa definizione sa molto di “politichese” e “burocratese” (se esistessero queste lingue), dato che vuol dire tutto e niente. Tuttavia, attenendoci alla circolare del CONI che chiarisce ciò, apprendiamo che un campionato, per essere considerato tale, deve soddisfare 4 requisiti:

– competizione avente natura internazionale (specificando l’organismo internazionale di riferimento) o natura di campionato italiano o gara equipollente;
– riserva di partecipazione ai soli atleti tesserati agonisti;
– presentazione della certificazione per attività sportiva agonistica;
– conservazione della suddetta certificazione presso la società sportiva di appartenenza.

Tralasciando gli ultimi 3 requisiti, meramente tecnici ed obbligatori a prescindere dallo stato di emergenza attuale dovuto al coronavirus, quello che ci interessa maggiormente approfondire è il primo, ovvero la natura del campionato.

Se – giustamente! – le competizioni come l’Euroleague della ECA e la Champions League della FIBA hanno natura internazionale, ci sembra assurdo e paradossale che Serie A, A2 e B maschile e Serie A e A2 femminile abbiano natura di campionato italiano mentre tutti gli altri campionati – senior e giovanili, maschili e femminili – non vengano considerati di tale natura, dato che, indipendentemente dalla regione in cui si svolgono, sono comunque da considerare campionati che si giocano in Italia e, quindi, italiani.
Forse, solo nel basket, l’Italia non è costituita da 20 regioni?

In realtà, la verità dietro a tutto questo è molto più amara in una società in cui, anche ai tempi del COVID-19, è il denaro a fare da padrone, come se un Teodosic o un Datome che giocano in Serie A debbano essere tutelati maggiormente rispetto ad un qualsiasi giocatore di Serie C o Serie D o ad un ragazzino delle giovanili.

Per non parlare dell’ancora troppo stringente e limitante distinzione tra professionismo e dilettantismo secondo il D.L. 81 del 23/03/1991 che la politica cestistica italiana ha aggirato “come una virata sul piede perno” mettendo nello stesso calderone sia campionati professionistici (Serie A) che dilettantistici (tutti gli altri campionati prima citati, inclusi gli ultimi aggiunti), non preoccupandosi invece – per ora! – di chiedere al Governo nazionale, tramite il Ministero dello Sport, di revisionare la suddetta legge e/o cambiarla totalmente, anche e soprattutto per il “vil denaro” citato poc’anzi.

Oppure basta semplicemente una lettera di protesta come quella fatta neanche un mese fa dagli allenatori di C Gold per essere presi in considerazione a livello nazionale? A questo punto, tanto valeva che si aggiungessero alla petizione tutti gli altri coach di pallacanestro italiani…

2) Gestione dei costi e dei contagi. Questo provvedimento avrà una fortissima ripercussione anche sulla gestione dei costi dei vari campionati e di eventuali contagi all’interno dei “gruppi squadra”.  Se già in campionati dilettantistici come la Serie A2 si sta avendo difficoltà con la gestione dei casi positivi, sebbene il protocollo emanato lo scorso 27 Novembre stia dando ottime risposte essendo praticamente alla stregua di quello per la Serie A, ci domandiamo se verrà utilizzato lo stesso identico protocollo anche per tutti i “nuovi” campionati aggiunti. A nostro parere, ci sembra una soluzione di difficile attuazione dato che i costi dei tamponi antigenici/molecolari settimanali sono complicati da sostenere già per le società di Serie A, figuriamoci per quelle di Serie C dove le differenze di capacità economiche tra le varie società sono ancora più evidenti. Non ci stupiremmo, infatti, che alcune società non abbastanza forti economicamente, pur di gestire tali spese e salvaguardare la salute di tutti, costruiscano roster “al risparmio” minando così l’equilibrio competitivo dei campionati. A meno di dover assistere a rinunce in corso d’opera stile Virtus Roma in Serie A.

Inoltre, numerosi giocatori/giocatrici, allenatori e membri degli staff tecnici militanti in questi campionati, così come gli arbitri e gli ufficiali di campo che dirigono le gare di suddetti tornei, non sono professionisti e, quindi, non hanno nel basket la loro primaria fonte di reddito – tralasciando il fatto che in Italia non è proprio concepito il mestiere di allenatore o giocatore di pallacanestro, al di là del c.d. Decreto Ristori emanato dal Governo nazionale, nè tantomeno quello di arbitro -. Ma, soprattutto, molti di loro hanno un altro lavoro – dove incontrano altre persone e, quindi, sono potenziali contagiati -, una famiglia da sostenere e figli che riprenderanno tra pochi giorni l’attività scolastica in presenza. Siamo quasi certi che nessuna di queste persone sia disposta a rischiare ulteriormente la propria salute per la pallacanestro, per quanto la rinuncia sia dolorosa. Ciò può essere risolto solamente inserendo una “corsia preferenziale” per tali figure nella campagna di vaccinazione anti COVID-19 promossa dal Governo: soluzione utopistica solo a pensarla, dato che, prima della Serie C, c’è la Serie B e, prima della Serie B, c’è la Serie A …di calcio!

Il prossimo 11 Gennaio è in programma una “conference call” tra il presidente Petrucci ed i presidenti dei Comitati Regionali dove si stabiliranno i protocolli per la ripartenza dei suddetti campionati e quindi verranno date risposte ai dubbi che ci siamo lecitamente posti.
Una domanda, però, ci sorge spontanea: è davvero conveniente riprendere a giocare a pallacanestro in queste condizioni, soprattutto in questi campionati dove confluiscono squadre con ambizioni e capacità economiche diverse, considerando anche gli incassi nulli dai botteghini dato che l’ingresso per la maggior parte delle partite di queste competizioni è gratuito?

3) Allenamenti nelle palestre e campionati giovanili. Questo aspetto, per noi, è il più preoccupante in tutta questa vicenda. Da questo provvedimento evinciamo che le squadre partecipanti ai “nuovi” campionati aggiunti potranno allenarsi tranquillamente per 2/3 volte la settimana in preparazione alla partita del weekend – senza nessuna zona gialla, arancione o rossa che tenga – nei palazzetti comunali e nelle palestre scolastiche.
E se, invece, i sindaci o, andando più in alto gerarchicamente, i presidenti delle regioni – che, ricordiamo, sono la massima autorità sanitaria a livello regionale – decidessero che tali plessi dovranno restare chiusi, le squadre come si allenerebbero? E, soprattutto, le partite come e dove si giocherebbero? Probabilmente in videoconferenza su Zoom alla Playstation!

Tuttavia, questa decisione senza senso sta alimentando un problema di non poco conto: la discriminazione nell’attività giovanile. Premesso che le questioni affrontate nei punti precedenti valgono anche per i ragazzi che svolgono tale attività – e che, ricordiamolo sempre, sono il cuore pulsante di ogni società -, la decisione di classificare i campionati di Eccellenza ed Elite come “di preminente interesse nazionale” ci ha fatto drizzare i capelli.
In pratica, tale provvedimento sembra dire a tutti i ragazzi che giocano a pallacanestro che quelli che hanno avuto la fortuna di essere nati nel posto giusto, essersi iscritti nella società giusta, essere alti 1,80 m a 14 anni o avere un pizzico in più di talento abbiano più diritto di praticare sport rispetto ad altri!
A tutti gli effetti, è una vera e propria forma di razzismo, stavolta non incentrata sul colore della pelle, ma sul talento innato delle persone nel saper palleggiare o tirare la palla nel canestro.
Per quanto ci riguarda, la nostra visione di “preminente interesse nazionale” dovrebbe consistere nel concedere a tutti il diritto di poter praticare sport – anche se non è riconosciuto ufficialmente dalla nostra Costituzione – e non nel dare la possibilità di giocare per il blasone delle società più potenti.

Lasciandoci ad un commento conclusivo, non capiamo davvero come si possa pensare di coltivare così un movimento che avrebbe bisogno di tornare a concentrarsi sui giovani e ricostruire le basi, anche partendo dalle piccole città che troppo spesso non offrono la possibilità ai ragazzi di conoscere lo sport più bello del mondo e non hanno i mezzi per competere ad un livello più alto, costringendo i propri giocatori più dotati a trasferirsi in altre città e cambiare squadra per affrontare i migliori.
Non ci sembra neppure possibile giustificare queste scelte con il solito “meglio poco che niente”, “intanto è qualcosa”, perché non crediamo che questo finto pragmatismo dettato dalla pandemia possa servire a difesa di qualunque decisione.
Crediamo che dare un messaggio completamente sbagliato, in cui lo sport diventa una giungla nella quale solo il più forte sopravvive e non una pratica fondamentale per la crescita personale a livello culturale e fisico, rifletta perfettamente la cultura sportiva completamente sballata che è radicata in Italia.

Sarebbe stato meglio, a nostro parere, smettere di considerare i lavoratori di tutti gli sport – eccetto il calcio – come categorie di serie B e pensare a dei ristori davvero adeguati, per poi riprendere l’attività in estate tutti e in maggiore sicurezza.
Infine ci chiediamo quali interessi e voci la FIP abbia ascoltato per prendere questa decisione (forse la lettera di protesta degli allenatori di C Gold menzionata in questo contributo?). Se le piccole società dilettantistiche ed i giocatori in molti casi non hanno palesato la propria volontà di tornare in campo, scegliendo di far giocare solo i giovani dei campionati più blasonati, non troviamo altra risposta se non quella di pensare che si sia data attenzione solo alle grandi realtà.

Ancora una volta, lo spettacolo, i soldi e la costruzione di fantomatici campioni dello sport (ammesso e non concesso che, da questi tornei, si producano dei talenti) emergono a discapito del diritto allo sport, della cultura sportiva e della competizione per tutti senza distinzioni di carattere economico e di etichetta.

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