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Pillole di Amarcord #9: Dalle tante “prime donne” ad una vera squadra

In un periodo di isolamento ed emergenza, le pagine di un libro possono darci conforto. Ancora di più se raccontano la nostra storia cestistica e ci permettono di rievocare, insieme a loro, i momenti salienti della storia recente della JuveCaserta. Lo facciamo con alcuni estratti di ‘A 40 minuti dal paradiso’, il libro scritto nel 2010 da Sante Roperto e Camillo Anzoini.

Nell’estate del 2007 la Pepsi fu costruita male, senza seguire le valutazioni di Trinchieri che avrebbe voluto confermare qualche uomo chiave (leggi Tyler e Bencaster) ed era piena di nomi di grande esperienza e valore, ma non tutti con le caratteristiche giuste per la seconda lega italiana. Addirittura quattro lunghi per un torneo nel quale le squadre giocavano da anni con pochi interni di ruolo e più spesso con pivot atletici: “È una formazione con problemi tecnici e con qualche doppione” ammise Fabrizio Frates nel giorno della sua presentazione al PalaMaggiò, quando a novembre fu chiamato a sostituire proprio Trinchieri. Eravamo partiti male: un precampionato poco convincente e una sonora sconfitta con la Montecatini dei fratelli Niccolai bastarono a far suonare il primo campanello d’allarme. Dopo sette giornate arrivò l’esonero di Trinchieri: troppo giovane nonostante ostentasse sempre una certa sicurezza, ma il bilancio di 4-3 in avvio mal celava le difficoltà di un team che aveva vinto soffrendo con Rimini e Casale, in casa, ed era uscita con le ossa rotte dalle trasferte di Reggio, Montecatini e Pavia. Toccò quindi al milanese Fabrizio Frates trasformare tante individualità in una squadra. Dopo il rovescio interno con Fabriano, 48 ore dopo il suo arrivo, la Pepsi ha iniziato a lavorare sodo e a raccogliere i primi frutti: cinque vittorie nelle sei successive gare (ko solo a Sassari all’ultimo secondo). Dal punto di vista tecnico-tattico la svolta della nuova gestione c’era stata ed era inequivocabilmente evidente: si iniziò a lavorare di più in difesa (quasi 20 recuperi di media), riscoprendo il Tutt dei tempi migliori (17,8 nelle prime sette uscite della nuova gestione) e migliorando l’apporto di Ghiacci. La JuveCaserta si era quindi trasformata in una formazione che costruiva il meglio nella sua metà campo e pescava nel suo carniere, ogni domenica, protagonisti sempre diversi. Era necessario però intervenire sul mercato perché sotto canestro Johnson non era all’altezza (così come gli ingaggi di Marmarinos e Plumari) e la squadra doveva invertire l’umore di una piazza che, dopo la sconfitta interna di metà febbraio con la Reggio Emilia dell’ex coach Marcelletti, aveva dato vita ad contestazione a fine gara. Ricordo ancora che aspettammo oltre un’ora perché io e il team manager Giorgio Glouckhov potessimo organizzare con i responsabili della Digos una via di fuga al giemme Betti obbligato ad andar via dal PalaMaggiò attraverso un’uscita secondaria per non incontrare i tifosi che avevano già tentato di aggredire Ghiacci. Era l’ultima occasione per non perdere un’altra annata: Ferrara era con merito capolista e la Pepsi (che a fine girone d’andata non chiuse nemmeno tra le prime quattro e non partecipò alla Coppa di Lega) doveva iniziare a programmare i play off. Arrivarono così Brkic e Diaz, mentre fu ceduto Grappasonni e passata la fascia di capitano da Ghiacci al veterano Labella. Betti lavorava per uno scambio Cittadini-Ghiacci con la Fortitudo, ma Frates insistette per avere una guardia e non certo altri lunghi di ruolo.

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