Cronaca

Le “mani” dei clan della camorra sul “Campania” e sul Policlinico di Caserta

Un vero e proprio “terremoto” quello che sta sconvolgendo Caserta e dintorni a seguito degli arresti effettuati dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta ai danni di ad altrettanti titolari di aziende di calcestruzzi del casertano, di cui uno già in carcere, ritenuti dagli inquirenti della Dda di Napoli contigui al clan camorristico Belforte di Marcianise:

Franco Minutolo, 47enne di San Nicola la Strada;

Sebastiano Minutolo, 45enne di San Nicola la Strada;

Angelo Pontillo, 53enne di Capodrise, con precedenti;

Luigi Trombetta, 58enne di Marcianise, detenuto.

In particolare i 4 segnalavano ai vertici del clan criminale gli imprenditori edili da sottoporre al pizzo, facendo poi anche da intermediari e da collettori delle tangenti. In cambio, i vertici del clan camorristico li ripagavano evitando di fargli pagare il pizzo e “consigliando” alle ditte vittime delle estorsioni di rivolgersi a loro per le forniture di calcestruzzo.

Nell’inchiesta sono finite altre 12 persone, indagate dal Gip Rovida:

Pasquale Aveta, 37enne di Napoli, detenuto e collaboratore di giustizia;

Bruno Buttone, 42enne di Marcianise, detenuto e collaboratore di giustizia;

Giuseppe Feola, 58enne di Capodrise, detenuto;

Michele Froncillo, 39enne di Marcianise, detenuto e collaboratore di giustizia;

Antonio Gerardi, 39enne di San Gallo (Svizzera), detenuto e collaboratore di giustizia;

Clemente Izzo, 52enne di San Felice a Cancello;

E. I., 45enne di San Felice a Cancello;

Tommaso Nuzzo, 51enne di Casapulla;

Gaetano Piccolo, 55enne di Marcianise, detenuto;

Antonio Raucci, 35enne di Capodrise;

Giuseppe Sparaco, 46enne di Capodrise, detenuto;

Francesco Zarrillo, 45enne di Capodrise.

Oggetti particolari delle loro “attenzioni”: il centro Commerciale Campania ed il Policlinico di Caserta.

La Polizia di Stato di Caserta ha ricostruito una serie di episodi estorsivi messi a segno dagli emissari dei Belforte tra cui una relativa alla realizzazione del “Centro Commerciale Campania” di Marcianise, ai danni di una ditta appaltatrice che fu costretta a pagare una tangente di 450mila euro. Soldi che si spartirono il clan Belforte e la fazione Zagaria del clan dei Casalesi. I titolari della ditta furono anche costretti a concedere in subappalto alcune opere alle aziende della camorra. Gli investigatori hanno fatto anche scoperto e fatto luce sulle vessazioni subìte da un imprenditore di Caserta impegnato nella realizzazione, nel capoluogo, di un complesso residenziale di 24 appartamenti e nella costruzione di quattro capannoni industriali a Maddaloni. Infine, per mascherare contabilmente il pagamento delle tangenti, gli indagati hanno emesso fatture per operazioni inesistenti in favore delle ditte delle vittime, “gonfiando” i costi rispetto alle effettive forniture di calcestruzzo, creando, così, “fondi neri” destinati al pagamento delle estorsioni.

Ma ovviamente il Centro Commerciale Campania di Marcianise rappresentava, per gli uomini dei clan camorristici Belforte e dei Casalesi, una vera e propria gallina dalle uova d’oro su cui avevano messo gli occhi già prima che partissero i lavori.

A dare una prima svolta alle indagini sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Michele Froncillo e Bruno Buttone.

Il primo, interrogato dai magistrati, ha affermato: «Uno degli accordi che riguardava il clan Belforte e la sua partecipazione agli  appalti   della  zona   di  Marcianise   che   dovevano  essere aggiudicati, con intermediazione del Sindac,o riguarda la realizzazione dei capannoni che dovevano essere utilizzati dai consorzio per la gestione dell’Interporto di Maddaloni e Marcianise che è curata da Barletta.

Questi era in ottimi rapporti con l’ex sindaco di Maddaloni, tale Lombardi ed anche con il Fecondo al quale, dunque, il clan si rivolse per ottenere una sorta di ricompensa per l’appoggio elettorale prestato a suo favore (il defunto Franco Lombardi e Filippo Fecondo non sono indagati in questo procedimento, ndr). Grazie ai buoni rapporti insomma che Fecondo aveva con Barletta (Giuseppe, nato 21 giugno 1945 n.d.r.) avrebbe dovuto intercedere con lui per favorire nell’attribuzione degli appalti ditte  vicine ai Belforte. 

La soluzione fu  trovata attraverso l’attribuzione dell’appalto ad una ditta di Castellammare o Gragnano, la RECALL (leggasi RAI.CAL. SPA) il cui titolare si chiama Gianluca, se non erro. La Recali (leggasi RAI.CAL. SPA) a sua volta si sarebbe poi servita per la gestione dei subappalti di ditte vicine al Clan Belforte tra le quali ricordo quella di Pinuccio detto Berlusconi.

Ad ogni modo l’accordo con il sindaco Fecondo fu precedente all’attribuzione dell’appalto. Ricordo che di questa questione parlammo con il sindaco Fecondo, io e Gino (Trombetta Luigi n.d.r.) Trombetta e il sindaco cui rappresentò che molto probabilmente la ditta che avrebbe aggiudicato l’appalto bandito da Barletta (Giuseppe, nato 21 giugno 1945 n.d.r.) sarebbe stata la Recali (leggasi RAI.CAL. SPA).

Non so dire se il sindaco nel darmi questa indicazione effettuava una previsione per la forza imprenditoriale della Recali (leggasi RAI.CAL. SPA) o perché vi era stato un accordo per pilotare l’appalto. Fatto sta che il Fecondo ci rappresentò che lui aveva sondato il titolare della Recali (leggasi RAI.CAL. SPA), questo Gianluca di cui vi ho parlato e questi era disponibile pur di ottenere l’appalto che ammontava a circa 30 miliardi delle vecchie lire ad effettuare delle prestazioni nei confronti del clan (anche se Rainone ha poi testimoniato di aver incontrato Fecondo solo in una riunione in Prefettura, nda).

Successivamente avemmo un contatto con questo Gianluca con il quale parlai io direttamente presso la calcestruzzi di Clemente Izzo. In questa riunione con il Gianluca eravamo io e Clemente Izzo ed io rappresentai che se avesse avuto l’appalto avrebbe dovuto dare una somma a titolo estorsivo del 2-3% sull’ammontare dei lavori da corrispondere in  tre rate annuali di 50 milioni ciascuna.  Inoltre chiedevamo l’attribuzione, appunto, di alcuni subappalti a ditte vicine ai Belforte ed alcune assunzioni di personale».

Poi tocca a Buttone: “Con Rainone, Clemente Izzo aveva un rapporto privilegiato con lui, ed infatti insieme si sono occupati anche della costruzione del Centro Commerciale Campania.

Per questi lavori Izzo Clemente ci faceva pervenire le somme estorsive attraverso il sistema della soprafatturazione; bisogna pensare che si trattava di somme di elevata entità in quanto gli importi delle opere da realizzare erano particolarmente elevati.

Per completezza devo specificare con riferimento a Gianluca Rainone, imprenditore del salernitano, che la prima tranche dei lavori che egli ha fatto all’Interporto fu chiusa da me personalmente quanto all’estorsione da pagare e a chiudere la trattativa fummo io e Gino Trombetta proprio nella rivendita di San Felice a Cancello alla presenza di Izzo Clemente. Chiudemmo per il pagamento di circa 300 milioni di lire. Con riferimento invece al Centro Commerciale Campania, non sono stato io direttamente ad occuparmi della vicenda, credo perché detenuto, ma ho saputo che Trombetta e Froncillo hanno chiuso l’estorsione proprio attraverso Clemente Izzo e che nella vicenda hanno avuto un ruolo anche i casalesi, con i quali Clemente Izzo aveva buoni rapporti, ed in particolare con Michele Zagaria. Per quell’opera i Casalesi si sono occupati sicuramente del movimento terra attraverso una donna di Afragola che fu poi ammazzata (Immacolata Capone, ndr)».

La vittima delle estorsioni, Gianluca Rainone, imprenditore di Sarno, viene ascoltato due volte dai magistrati, ma solo nel 2008 decide di vuotare il sacco. «A seguito della firma del contratto con il CESPE (il Consorzio che aveva avuto l’appalto dall’interporti, ndr) fu richiesto alla società che rappresento di iniziare immediatamente i lavori e così nell’agosto 2001 iniziammo qualche piccola attività di recinzione dell’area che peraltro era molto ampia, se non erro circa 600 mila mq. Immediatamente si presentarono sul cantiere, come mi fu riferito dal capo cantiere, geometra Del Bianco, tre motociclette con a bordo alcune persone che indossavano caschi integrali e che erano armate. Queste persone intimarono al capo cantiere di andare immediatamente via da quel posto e gli chiesero se egli rappresentasse la ditta Rainone. Chiesi comunque al geometra di riportarsi sul cantiere e queste persone, dopo un po’, si ripresentarono, riferendo al mio incaricato che avrei dovuto presentarmi presso un locale pubblico di Marcianise, del quale ora mi sfugge il nome, ma che saprei ritrovare, per contrattare con gli esponenti della famiglia camorristica del posto.

Quando giunsi, dopo alcuni giorni, all’appuntamento prefissato, al quale mi recai da solo, trovai ad attendermi Michele Froncillo, il cui nome mi ricordo meglio degli altri perché ho letto che è diventato collaboratore di giustizia, insieme ad un’altra persona che – se non sbaglio – dovrebbe chiamarsi Bruno, e che era effettivamente scuro di pelle.

Questa persona comunque rimase per lo più in silenzio ed a condurre le trattative fu Froncillo, il quale subito mi disse che, per conto della famiglia di Marcianise, avrei dovuto versare la somma di un milione di euro quale percentuale a titolo estorsivo sul contratto da me stipulato.

Io cercai di proporgli in alternativa alla dazione di una somma di denaro la possibilità di far lavorare, quali sub-appaltatori, imprenditori della zona, ma Froncillo rispose che a lui interessavano soltanto i soldi e che – in ogni caso – agiva praticamente per ordini di soggetti a lui superiori e che non poteva derogare alla richiesta che mi aveva presentato. Per di più mi chiese anche un’anticipazione immediata di cinquantamila euro.

A seguito di una trattativa da me intrapresa, avvenuta anche in successivi incontri, la somma estorsiva fu infine quantificata in complessivi quattrocentocinquanta mila euro che ho pagato, nel corso del tempo, integralmente. Pochi giorni dopo l’incontro con Froncillo, si presentò sul cantiere la signora Imma Capone accompagnata da Michele Fontana, titolare di una ditta di trasporti, la quale mi disse che in pratica il sub-appalto per il movimento terra doveva obbligatoriamente da loro essere effettuato. Soggiunse che il calcestruzzo doveva essere fornito da una ditta di Caserta, della quale – in questo momento – non riesco a ricordarmi il nome, e che – infine – mi sarei dovuto presentare a Casal di Principe per definire i termini di una estorsione con il clan dei casalesi.

A seguito dell’invito della Capone decisi dunque di recarmi a Casal di Principe per avere un colloquio con i casalesi. Una volta giunto nella masseria mi spaventai non poco notai infatti che vi erano quattro o cinque macchine ed una quindicina di persone con fare minaccioso.

Pensai che visto il contesto, mi conveniva acconsentire a tutte le richieste perché altrimenti non sarei uscito vivo. Parlai con Pasquale Zagaria il quale subito mi chiese anch’egli un milione di euro, lo rappresentai immediatamente che ero stato avvicinato anche dai camorristi di Marcianise e che non potevo certamente pagare ad entrambi, ma lo Zagaria mi disse che avrei potuto saldare direttamente a loro la cifra richiesta e che gli stessi Casalesi avrebbero poi risolto la vicenda con i marcianisani.

Io tornai, dunque, a parlare con i marcianisani ed in particolar modo con Froncillo, il quale si arrabbiò moltissimo per questa iniziativa dello Zagaria e mi riferì che non aveva alcuna obiezione per le richieste dei Casalesi di favorire alcuni sub-appaltatori, ma che il denaro doveva essere necessariamente versato a loro.

Lo Zagaria, quando gli rappresentai quanto osservato dal Froncillo, disse che se la sarebbero vista loro con i marcianisani tanto che io addirittura mi preoccupai perché mi parve troppo arrendevole rispetto alle pretese di Froncillo ed immaginai che potesse accadere qualche guaio. Invece il rapporto si svolse, come ho detto, interamente con il gruppo di Marcianise anche se non so se vi siano stati accordi sottostanti”.

All’attenzione dei clan criminali non poteva poi mancare il nascente Policlinico di Caserta che è l’opera più grande appaltata nel Capoluogo negli ultimi anni, con un investimento di oltre 100 milioni di euro.

A parlare della vicenda del Policlinico è ancora Bruno Buttone che, davanti al magistrato, afferma: “Anche per tale opera la fornitura di cemento è stata effettuata in maniera esclusiva dai fratelli Minutolo. Ciò è avvenuto a seguito di una nostra imposizione, in particolare pur non essendomi occupato io di chiudere l’estorsione con le ditte incaricate della realizzazione dell’opera, ma Gino Trombetta, so che così come per le altre opere, all’imprenditore che si era aggiudicato l’appalto è stato imposto dal gruppo, non solo il pagamento di una tangente fissata in percentuale all’importo complessivo dell’opera, ma anche di rifornirsi del cemento dalla ditta dei fratelli Minutolo. Ora che ci penso, se non ricordo male, anche per tale opera la ditta aggiudicatrice dell’appalto è stata quella dell’ingegnere Mario Pagano”.

E proprio con l’imprenditore casertano gli inquirenti hanno cercato riscontri, in un interrogatorio dell’aprile 2013. “Durante i lavori per la costruzione del Policlinico avvenne un solo episodio intimidatorio, ad opera di persone che si erano presentate nel cantiere ed avevano chiesto  il  pagamento di  una tangente,  prontamente  denunciato alla Questura dall’ingegnere Moro, responsabile del cantiere. In merito alle modalità per l’individuazione del fornitore del calcestruzzo ha provveduto l’ufficio acquisti che scelse la CO.CEM, in particolare, per la vicinanza al cantiere oltre che per la qualità ed i prezzi proposti. Successivamente, non avendo ricevuto i pagamenti la CO.CEM decise di sospendere le forniture, pertanto, ci rivolgemmo a Caturano. Mi riservo di consegnare la documentazione concernente la scelta delle ditte fornitrici di calcestruzzo, le varie offerte, i periodi, le quantità di calcestruzzo fornite da ogni ditta e gli importi pagati. Quando si interruppe il rapporto con la CO.CEM il credito ammontava a circa 650.000 euro”.

Pagano poi aggiunge: “Nell’ambiente imprenditoriale è notorio che il settore del calcestruzzo è generalmente “a rischio contaminazione criminale”. In relazione alla CO.CEM non sono in possesso di notizie specifiche circa eventuali connessioni con il clan Belforte, pur non escludendo che circolavano in giro voci in tal senso”.

L’imprenditore Pagano poi conferma che “effettivamente nel corso degli anni sono stato costretto a pagare tangenti al clan Belforte in relazione alle varie attività imprenditoriali di cui mi sono occupato, tra le quali l’appalto per l’igiene urbana a Caserta, la costruzione del parcheggio sotterraneo ed altri lavori nel territorio. 

Pagavo tre volte l’anno in occasione delle canoniche festività. Ho sempre pagato dal 2000 al 2008 tre volte l’anno, cifre variabili da 5.000 a 20.000 euro per volta, a seconda dell’entità dei lavori che stavo effettuando. Ho sempre pagato personalmente nelle mani di emissari del clan che si presentavano nel mio ufficio a Caserta, Corso Giannone. Tra le persone che si sono presentate ricordo solo Froncillo e Trombetta ed altri sempre nuovi che si sono alternati negli anni”.

 

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